L’EDITTO DI SAINT CLOUD
Com’è noto, la tradizione individua nel “Décret impérial sur les sépultures” – meglio conosciuto come “Editto di Saint Cloud” – del 1804 il primo provvedimento atto a regolamentare la pratica delle sepolture, sancendo la nascita dei moderni cimiteri. Nel Regno d’Italia entra in vigore sotto il nome di “Editto della Polizia Medica”, promulgato sempre a Saint Cloud, il 5 settembre 1806.
Seguendo una tradizione che ha origini medioevali, per i cattolici la massima aspirazione, una volta morti, era quella di riposare all’interno delle chiese, e i luoghi più ricercati erano proprio quelli adiacenti alle reliquie o comunque agli altari dove si celebrava messa.
Questi spazi, ovviamente, erano appannaggio dei più ricchi e potenti.
E così a Roma anche la morte era collegata allo status sociale del defunto. E girando per le tante chiese di Roma è ancora possibile vedere, e in tanti casi anche ammirare, vari tipi di tombe: lastre tombali poste sul pavimento o sulle pareti, veri e propri monumenti funerari, alcuni sistemati in cappelle di famiglie nobili, antichi sarcofagi (etc)…
Ai poveri veniva riservato un altro trattamento: i loro cadaveri erano relegati sotto il chiostro in larghe e profonde fosse comuni senza bara, semplicemente cuciti nei loro sudari. E quando queste fosse erano troppo piene, venivano chiuse e gli scheletri spostati nelle gallerie dei chiostri, nei solai della chiesa, o sotto i fianchi delle volte e anche contro muri e pilastri.
La sistemazione dei cadaveri diventa un vero e proprio problema da risolvere già nella prima metà del Settecento, arrivando ad animare un dibattito di tipo sanitario che dalla Francia arriverà in Italia; dibattito che troverà attuazione nella promulgazione di leggi che spesso verranno disattese. Tuttavia è da evidenziare nel 1762 l’incarico che Ferdinando IV di Borbone attribuisce all’architetto Ferdinando Fuga per la costruzione del Cimitero di Santa Maria del Popolo a Napoli, meglio conosciuto come Cimitero delle 366 fosse.
Già nel XIX secolo l’idea che le sepolture in chiesa fossero pericolose per l’igiene pubblica era divenuta di dominio comune. Infatti alla luce delle nuove conoscenze mediche e igieniche, in vari Paesi, si era da tempo provveduto alla creazione di cimiteri lontani dalle città, in cui solitamente si usava seppellire a sterro (ossia in terra), metodo di sepoltura ritenuto più salubre e sicuro.
Nel 1809 i francesi occupano Roma, che viene così annessa all’impero francese. Immediatamente, con decreto imperiale il 17 maggio 1809,a Roma è istituita da Napoleone una Consulta straordinaria per gli Stati romani che operò dal 1° giugno 1809 al 31 dicembre 1810, data dell’ultima seduta.
Fu un governo provvisorio incaricato di prendere possesso in nome dell’imperatore dei territori già pontifici e di provvedere alla loro riorganizzazione.
Va detto che in generale l’attività della Consulta straordinaria per gli Stati romani è stata particolarmente efficace, con numerosi decreti emanati, nell’introdurre parecchie riforme amministrative, giuridiche e sociali di Roma e dello Stato pontificio.
Il problema di dove seppellire i morti era già stato affrontato nel territorio francese. E di conseguenza l’editto di Saint Cloud (1804) – che imponeva che le tumulazioni avvenissero fuori dal centro abitato e (soprattutto) che le lapidi dei “cittadini” fossero tutteidentiche – era stato esteso all’Italia, allora sotto il dominio napoleonico: un provvedimento che aveva dato avvio ad accesi dibattiti tra gli intellettuali del tempo, come Ugo Foscolo che nel 1806 scrisseI sepolcri, un carme ispirato proprio a questa questione.
In applicazione dell’editto di Saint-Cloud si prevedeva il divieto in tutti gli stati francesi dell’inumazione nelle chiese e nei centri urbani e anche nei territori ex-pontifici si sarebbe dovuta avviare una riforma nel settore dei cimiteri.
Così nel 1809, la Consulta straordinaria pone tra i lavori più urgenti da intraprendere quelli relativi alla costruzione di cimiteri fuori le mura della città, allo scopo di tutelare la popolazione, che ormai si aggirava intorno alle 134.000 unità, dai pericoli derivanti dal dilagare di eventuali epidemie
Con decreto del 19 luglio 1809, la Consulta proibisce le sepolture all’interno delle chiese, perchè estremamente nocive per la salute degli abitanti. Infine ordina che per l’avvenire le tumulazioni venissero realizzate in «cimiterj situati fuori il recinto della città di Roma».
Lo stesso decreto affidava a due famosi architetti Giuseppe Camporese e Raffaele Stern l’incarico di presentare, di concerto col medico dottor Domenico Morichini, un rapporto indicando i terreni più adattati a formare dei cimiteri fuori delle mura della città di Roma con stima dei costi relativi.
A fare da guida ai tecnici nello sviluppo dei piani di ricostruzione, è un trattato del 1786 che fissava le linee alle quali attenersi per la costruzione dei cimiteri. Appare utile citare di seguito i capitoli 5V e VI col mero scopo di lasciar intuire la dovizia di particolari posta in essere dagli Autori delle Istruzioni stesse:
Capitolo V
“Istruzioni per la costruzione de’ campi Santi”
In tre maniere si costruiscono in Europa i cimiteri, di cui si parla. La prima consiste nell’ordinare sepolture pratticate nelle chiese; la seconda è quella de’ campi Santi fuori della città, […]; la terza maniera comprende quelli nei quali i morti si sepelliscono qualche piede sotto terra all’aria aperta costudendosi l’intero terreno addetto a questo uso, con un muro sottilissimo che lo circonda. Esaminando la prima maniera ritrovo, che non s’abbia in alcun modo ad ammettere, giacché si rendono le chiese non proprie di quel che si convenga, e si produce infezione nell’aere delle città, e de’ Paesi. La seconda maniera non deve neppur praticarsi nelle presenti circostanze. […] La terza maniera è costantemente la più semplice e la meno dispendiosa, la più atta ad infugire le cagioni, onde può nascere l’infezione dell’aere, e la più decente e consentanea alla religione cattolica. […] Per mettersi tal maniera di cimiteri in opera, si danno all’ingegneri, nommeno che ai vescovi, ed ai parochi le seguenti istruzioni, i quali dovranno dai pulpiti predicarli e farli presenti a quel publico, affinché si tolga il populare pregiudizio di aver la sepoltura nelle chiese.
Capitolo VI
“Istruzioni per cautelare i sepolcri della peste”
[…] 7° – Si deve costruire prontamente un campo Santo fuori dell’abitato, con proibirsi espressamente il seppellire i cadaveri nelle chiese dentro la città, e ciò non solo per il fine di abolire le sepolture nei luoghi abitati per i danni che queste apportano, ma anche per impedire, che si apra qualche sepoltura, in cui possa esservi il cadavere del tempo della peste. Non tralasciando di inculcare ai deputati della salute, ed all’ingegneri di osservare le più scrupolose, ed esatte diligenze, e cautele nell’esecuzione delle suddette operazioni.
Art. 2 della Legge
“Istruzioni per cautelare i sepolcri della peste”
La costruzione de’ camposanti sarà cominciata nel corrente anno, e dovrà trovarsi ultimata in tutto il regno per la fine del mille ottocentoventi. La spesa di quest’opera è a carico de’ comuni rispettivi. Gl’Intendenti potranno eccitare i ricchi proprietarj, i prelati, il clero e le congregazioni a concorrere con oblazioni volontarie ad accelerare il compimento di un’opera tanto interessante la salute pubblica.
Artt. 1-2 del Regolamento
dato dal Ministro degli Affari Interni per la esecuzione della legge degli 11 Marzo 1817 intorno alla costruzione, ed alla polizia de’ Camposanti
- Il seppellimento de’ cadaveri umani ne’ Camposanti […] dovrà essere fatto per inumazione, ossia interrimento, non già per tumulazione, ossia dentro sepolture. […] 2. La figura del Camposanto sarà un quadrato, o un parallelogrammo, o almeno la più approssimante a tali figure. Avrà una sola porta d’ingresso chiusa da un forte rastello di ferro, o di legno, così stretto, che gli animali non possano penetrare a traverso esso. […] Vi sarà costruita una Cappella per esercitarvi gli uffizj religiosi. Accanto alla porta del Camposanto potrà costruirsi ancora una casetta pel sepellitore, qualora le circostanze locali ne facciano sentire la necessità. de’ camposanti sarà cominciata nel corrente anno, e dovrà trovarsi ultimata in tutto il regno per la fine del mille ottocentoventi. La spesa di quest’opera è a carico de’ comuni rispettivi. Gl’Intendenti potranno eccitare i ricchi proprietarj, i prelati, il clero e le congregazioni a concorrere con oblazioni volontarie ad accelerare il compimento di un’opera tanto interessante la salute pubblica.
Il CIMITERO DEL VERANO
“Non possiamo. Non dobbiamo. Non vogliamo!”
Con queste celebri parole, il 5 luglio 1809, sua santità Papa Pio VII, rispose all’invitò rivoltogli dal generale Miollis di cedere a Napoleone il controllo sui territori dello Stato Pontificio.
A seguito di quello storico rifiuto, l’anziano pontefice fu tratto dai suoi appartamenti in palazzo del Quirinale per essere condotto di meta in meta in un esilio errante, prima di trovare definitivo asilo presso la remota fortezza di Fountainbleau.
Il prezioso “triregno”, simbolo dell’antico potere papale sui regni del cielo, degli inferi e della terra, si trovò così di colpo nelle mani di quegli occupanti tanto odiati dai romani, quanto illuminati.
I rapitori del papa, gli usurpatori del potere datogli da Cristo, perché così erano visti dalla modesta popolazione di una Roma ancora corte del Vaticano, si posero come obiettivi l’introduzione di quelle stesse norme che introdotte in Francia avevano reso una miglioria alla vita del popolo.
L’istituzione dei Palazzi di Città (i moderni comuni) con sportelli e servizi ai cittadini, nonchè l’introduzione degli uffici demografici e di statistica, dotati di registri la struttura dei quali era basata sul complesso sistema notale ecclesiastico.
Tuttavia il periodo della dominazione francese è ricordato soprattutto per l’applicazione dell’editto di Saint Cloud, promulgato nel 1804 ed introdotto in Italia nel 1809.
Pensato per limitare la diffusone di malattie infettive, limitava la sepoltura dei cadaveri “intra mura” solo ad un ristrettissimo numero di persone ed imponeva per tutti gli altri l’inumazione in moderni complessi cimiteriali pensati e costruiti con criteri che oggi definiremmo igienico-sanitari d’avanguardia.
Nel novembre 1809 fu approvata l’edificazione di due nuovi cimiteri per la città di Roma, incaricati del progetto e di individuare le aree, furono i due architetti G. Camporese e S. Stern..
Le macro aree furono da loro inizialmente selezionate in base alla posizione: un cimitero avrebbe asservito alle esigenze della popolazione della sponda sinistra del Tevere, l’altro per la popolazione della destra; la posizione definitiva fu scelta per storia e morfologia del territorio.
La prima zona della quale furono certi era ancora conosciuta col toponimo latino di “ager Verani”, si trattava di un terreno incoerente e collinare situato nei pressi dell’antica Basilica di San Lorenzo Fuori le mura, poco fuori Porta Tiburtina; si presentava riparato, circondato di coltivazioni intensive e bassi dossi. Originariamente appartenuto alla famiglia dei Verani, fiancheggiava la Via Tiburtina e nel suo sottosuolo nascondeva ancora le antiche catacombe di Ciriaca: una perfetta continuità storica con il futuro progetto.
La seconda area prescelta era quella compresa tra Monte Mario ed il Pineto Sacchetti, l’attuale Valle Aurelia o Valle dell’Inferno, anche in questo caso, la posizione era “conclusa”, circoscritta, l’idea di luogo in qualche modo protetto ed appartato per il riposo eterno dei propri cari, doveva sembrare all’epoca un requisito essenziale.
I lavori di entrambi i cimiteri furono avviati nel 1811 per subire un brusco arresto nel 1814 nel periodo della Restaurazione.
Malgrado il progetto di un primo nucleo cimiteriale pensato dal Valadier per il complesso di San Lorenzo, entrambe le aree vennero abbandonate e, caduto il temporaneo dominio francese, si tornò nuovamente a seppellire i propri defunti nelle cripte delle chiese.
La prevedibile ritrosia di Pio VII a sposare una normativa introdotta dall’occupante francese, dovette in qualche modo influenzare anche il suo successore Pio VIII, dovremo aspettare infatti fino alla salita al soglio di Gregorio XVI negli anni 30 dell’800 per tornare a vedere i primi parziali cambiamenti in fatto di igiene e sanità.
Fu infatti sotto il suo pontificato che, per ordine del Cardinal Vicario Carlo Odescalchi, vennero elaborate nuove normative cimiteriali, essenziali alla ripresa dei lavori del Nuovo Camposanto; così sarà detto il Cimitero di San Lorenzo, mentre saranno definitivamente accantonati lavori e progetti nell’area di Valle Aurelia, probabilmente a causa del toponimo popolare dell’area, comunemente denominata “Valle dell’inferno”.
L’inaugurazione si tenne nel 1835 e fu una solenne cerimonia officiata dallo stesso Odescalchi; durante la funzione, il cardinale ci tenne a sottolineare che quello sarebbe stato il cimitero per tutti i romani e che la sua benedizione avrebbe reso obbligatorio per ogni individuo essere sepolti in quel luogo consacrato, eccezion fatta, ovviamente, per: il papa, i cardinali, i vescovi, i prelati, i preti, i frati, le monache, i nobili e i raccomandati dai parroci. Ovvero, come ci ricorda il Belli in un famoso sonetto, l’obbligo non c’era praticamente per nessuno.
“Ieri a 23ma ora finalmente \ sto cimitero è stato benedetto \ t’assicuro che fu un carnevaletto \ per concorso de carrozze e gente \ “Le sepolture vecchie”, er papa ha detto \ “che d’ora in poi nun zerbino ppiù a gniente. \ Perchè ltutti li morti anneranno laggiù ssopr’an carretto.\ Però s’intenne da li papi in fori, \ e cardinali e vescovi, e pprelati \ e ppreti, e frati e monache e i signori \ e nun sarà puro accettato ognuno che se terrà da conto li curati…”\ Insomma via nun ciannerà gnissuno.”
Durante il pontificato di papa Gregorio, fu indispensabile tornare ad intervenire con opere di risanamento e migliorie alle sepolture a causa di un’epidemia di colera esplosa in città nel 1837; tuttavia quel che più servì a delineare definitivamente i tratti distintivi dell’intero complesso funebre fu certamente il celebre impulso creativo di papa Pio IX che salì al soglio nel 1846.
La controversa figura del Mastai Ferretti, si stagliò immensa in un panorama preunitario frammentato e decadente; l’impegno volto al rinnovamento ed alla modernizzazione della propria città e di tutto lo stato Pontificio fu ragguardevole, basti pensare alla lungimiranza posta nella rivoluzione intrapresa nell’ambito delle vie di comunicazione che cominciarono ad essere affiancate da rotaie o per esempio al sistematico restauro delle basiliche patriarcali, all’ora ancora meta di un ragguardevole turismo devozionale e indulgenziale. Potremmo affermare che in un momento di grave crisi religiosa, intuì le potenzialità dei nuovi mezzi per fare marketing: Abbellì, facilitò gli spostamenti, fotografò se stesso e Roma e cercò di fidelizzare i propri concittadini.
La città santa dal 1846, fu tutta un brulicare di operai, impalcature e cantieri; opere pubbliche, vie di comunicazione, scavi archeologici, non ci un settore dell’edilizia che non rimase contagiato da questa febbre di rinnovamento. In pochi anni questo fervore di cantieri, arrivò anche fuori porta: intorno al 1850 ebbero inizio i lavori di risanamento dell’antica Basilica di San Lorenzo al fine di isolarla definitivamente dalla rupe che incombeva sul suo lato sinistro provocando continui crolli e problemi dovuti all’umidità.
Il cantiere fu affidata all’architetto Virginio Vespignani che, affiancato dall’archeologo Giovan Battista De Rossi, sistemò anche l’internò della Basilica laurenziana per poi passare ad occuparsi del riassetto della disordinata area cimiteriale.
In quegli anni l’area cimiteriale si presentava ancora come una vasta radura solo parzialmente recintata; nascoste dalle basse colline che lo contornavano, sepolture a terra individuabili da croci in legno ed una schiera di tombe a pozzo disposte disordinatamente intorno ad una cappella lignea ai lati della quale si stagliavano due lunghi muri in funzione di quinta per l’alloggiamento dei monumenti a parete. Malgrado molti anni di lavori e l’intervento di tre architetti, nulla di più per il Campo santo della città eterna.
Vespignani non si limitò a progettare un completamento degli scarsi volumi edificati ma immaginò un progetto completamente nuovo che prevedeva un sostanziale riassetto degli spazi e delle aree; nulla delle vecchie tombe e strutture lignee e murarie fu risparmiato dalla graduale demolizione.
A dimostrazione della pianificazione dell’opera, basti pensare che la cantierizzazione fu preceduta dall’affissione di cartelli con la quale si invitava la popolazione cittadina a scaricare qualsiasi materiale di risulta in zone ben definite fuori Porta Tiburtina al fine di spianare tutta l’area circostante; anche i dossi presenti tra le mura aureliane e l’antico Castro Laurenziano, furono portati a raso. Una volta immaginata la nuova viabilità, con lo Stradone del Campo Santo a sostituire l’antico sterrato della via Tiburtina, poterono partire i ben più impegnativi cantieri cimiteriali, che riguardarono contemporaneamente più aree: la Rupe del Pincetto, con il suo isolamento e le sue sostruzioni; la costruzione dell’ambizioso quadriportico suddiviso in quattro riquadri con ordinate tombe a pozzo; la sostituzione dell’antica cappella lignea del Valadier con una Cappella in muratura consacrata a Santa Maria della Misericordia. Gli ultimi interventi eseguiti sotto la guida dell’architetto pontificio, furono quelli riguardanti la cinta muraria, l’isolamento della Rupe Caracciolo e la realizzazione dell’ingresso monumentale che non vide mai ultimato.
Il fine lavori fu imposto dalle truppe Garibaldine e da una breccia che squarcerà per sempre le ambizioni di un pontefice che fu l’ultimo monarca assoluto del regno dei cieli in terra.
Meno ampia e meno nota della breccia di Porta Pia, sarà quella aperta lungo il perimetro del Verano dai bersaglieri di passaggio, per colmare la quale e per terminare l’ingresso monumentale, la nuova amministrazione cittadina sarà costretta a nominare due nuovi architetti: Mercandetti ed Erosh.
La Roma umbertina crebbe a dismisura: incrociando i dati degli stati delle anime del 1850, alle statistiche dei censimenti post unitari, scopriamo che si passò dalle circa 150.000 anime iniziali alle 209.000 del 1871, alle 269.000 del 1881, alle 416.000 nel 1901, fino a raggiungere il mezzo milione di individui nel conteggio del 1911; un rapporto di crescita esponenziale che avrebbero condotto ad una mortalità sicuramente proporzionata.
Tutto ciò portò ad un progressivo aumento della superficie cimiteriale utile, reso possibile grazie all’acquisto di tutti i terreni compresi tra la ferrovia e la Via Tiburtina.
Grazie a quest’espansione, nel 1880 in poi venne messa a punto l’urbanizzazione dell’area del pincetto nuovo con la costruzione del grande serbatoio centrale e la disposizione dei riquadri a raggiera, si delimitarono aree specifiche e dedicate per i seppellimenti degli israeliti ed acattolici, venne costruito il forno crematorio in stile egizio, si eresse la sala incisoria ed intorno al 1890 cominciarono a vedere la luce le caratteristiche “scogliere”sorte a ridosso dei contrafforti di sostruzione delle varie rupi.
Zone quali “altipiano pincetto” e “bassopiano pincetto” verranno sfruttate ed urbanizzate a partire dal al 1905.
Successivamente al primo conflitto mondiale, sorsero riquadri dedicati ai caduti della Grande Guerra e solamente nel 1928, su progetto dell’architetto De Vico, venne edificato il Sagrario Militare per i caduti di tutte le guerre.
Pochi furono i cambiamenti che stravolsero la fisionomia e l’assetto prevalentemente ortogonale del Verano dall’inizio del 1900 ad oggi; solo l’acquisizione di nuovi terreni verso lo scalo merci San Lorenzo negli anni ‘50, diede vita ad una nuova zona di edifici e riquadri sfruttati fino agli anni ottanta del ‘900, denominata tutt’ora ”zona ampliamento”.
Ad oggi il Cimitero del Verano è un bene tutelato, un Cimitero Monumentale sul quale verte un vincolo strutturale che ne pone le sue tombe ed i ricordi che custodisce alla stregua di opere d’arte.
Camminando tra il silenzio di quei viali verdi pensati da grandi architetti, potreste imbattervi in nomi e ritratti di personaggi illustri, come nelle opere di quegli artisti che hanno contribuito a rendere immortali le nostre arti. Inutile stilare sterili liste di nomi, se approcciato con rispetto, sarà lui a svelarvi viale dopo viale i suoi ombrosi segreti…
MORIRE NELL’800
Morire non è cosa da tutti. Si muore una volta sola e quando lo si fa, lo si fa per bene!
Più o meno questo doveva essere il modo di vedere le cose della media e alta borghesia nell’800. La fine della vita era una tappa importante da pianificare bene: avrebbe tramandato la propria immagine di se ai posteri, proiettando la proria effige e la propria tomba verso l’eternita. Ci si pianificava passo passo: il proprio testamento, designando coloro che sarebbero stati eredi dei nostri eredi dei nostri averi e curatori delle nostre “povere spoglie mortali”; successivamente si sceglieva a quale confraternita affidare parte del proprio patrimonio per avere in cambio una sepoltura nella cappella della stessa confraternita e la salvezza dell’anima grazie al rilascio di un’apposita indulgenza firmata alla sottoscrizione del contratto di adesione. Tale stato di cose fece sì che fino a tutto il XIX secolo il potere economico in mano ai parroci fosse talmente elevato da avere potere decisionale sui riti funebri: un funerale officiato al di fuori della parrocchia doveva essere seriamente motivato e poteva tenersi solo dopo il pagamento di un gravoso indennizzo.
Contemporaneamente, per permettere una degna sepoltura ai non abbienti, sorse la Compagnia della Buona morte, che aveva come impegno morale il fine di dare sepoltura anche ai non abbienti con rito cristiano ed un degno riposo eterno in terreno consacrato.
Ma leggiamo una cronaca dell’epoca per meglio cogliere lo spirito degli accadimenti.
MORTORIO E FUNERALE
Affinchè non sembri esagerato quello che diciamo nel testo sulla spesa di cinquanta scudi per una sepoltura, trascriviamo qui uno di que’ conti dettagliati che fanno i parrochi di Roma in simili circostanze. Prima però osserviamo, che nel linguaggio di Roma una cosa è mortorio, altra cosa è funerale. Il mortorio consiste nell’accompagno del cadavere dalla casa alla chiesa, ed in tutte le funzioni che si fanno, esso presente, fino alla sepoltura: il funerale poi consiste in messe cantate, uffizi, ed altre funzioni che si fanno per un morto non presente il suo cadavere. Osserviamo inoltre che ne’ mortori in Roma si usa fare una processione composta di confraternite in sacco, frati e preti, e torcie di cera accese; e prima di condurlo alla chiesa si fa fare alla processione un giro più o meno lungo, da convenirsi con la famiglia, secondo che il mortorio è più o meno solenne. I mortori assai ricchi si fanno nelle prime ore della notte, ed allora tutte le tasse sono addoppiate, ed è stile che la processione di notte passi per il Corso. Nei mortori decenti ma senza sfarzo, non s’invitano confraternite, che costano molto, ma i frati soltanto ed i preti. Ecco dunque il conto, fatto in scudi romani e baiocchi.
Ora per la intelligenza de’ nostri lettori, daremo la spiegazione di queste partite della bottega romana.
Curato compagno e croce baiocchi 40. Il parroco, che in Roma è chiamato volgarmente curato, non va se non che nei mortori i più ricchi, ciononostante prende il suo diritto di accompagnatura in baiocchi 20: il compagno è il sub viceparroco che prende baiocchi 10: il chierico che porta la croce prende pure baiocchi 10. Emolumenti e guida 1, 45: questa partita appartiene al capo beccamorti della parrocchia: 1. 40 per emolumenti, vale a dire invece di scarpe e cappello che prendeva sul cadavere colui che lo seppelliva: e baiocchi 5 per guida: il capo beccamorti procede avanti la processione per indicare la via, portando in mano il mazzetto del parroco, di cui appresso.
Frati numeno 60, scudi 3.1 frati che vanno ad accompagnare i cadaveri ricevono baiocchi 5 per ciascuno oltre la candela: i preti ricevono baiocchi 10: ma qui bisogna avvertire che vanno alla associazione de’ cadaveri, vestiti da preti, e pagati come preti, molti e molti laici.
La partita, sepoltura alla Reverenda Camera Apostolica sembrerà a molti una partita oscura: ecco che cosa essa è. La Bev. Camera Apostolica, ovvero sia la finanza pontificia paga le spese del campo santo; per rimborsarsi ha messo una imposta di scudi 1 e baiocchi 50 sopra ogni cadavere, che i parrochi debbono esigere e versare ogni mese nelle mani dell’ esattore. Questa tassa dà il diritto al cadavere di essere gettato in uno dei pozzi comuni, chiamati sepolture. Se poi volete che vi si cavi una fossa particolare, oltre la solita tassa, si devono pagare dieci scudi, e trenta scudi circa dovete pagare al muratore del cimiterio per cavare la fossa, e murare il cadavere in essa: lavoro che un altro muratore farebbe per dieci scudi; ma il muratore del cimiterio ha comperata la sua privativa.
Portatori e incassatura se. 1, 10. Quattro beccamorti coperti di un sacco nero di canevaccio portano sulle spalle il cadavere dalla casa alla chiesa, ed hanno venti baioccchi per ciascuno : questi sono i portatori. Prima di andare a levare dalla casa il cadavere, il beccamorti lo mette nella cassa, e prende per ciò baiocchi trenta: ecco la incassatura.
Alzatura scudi tre. Giunto in chiesa il cadavere, si pone il cataletto sopra due banchetti coperti con carte nere sopra le quali sono dipinti degli scheletri: in terra all’intorno si mettono due giri di carte nere con teschi dipinti: poi si pongono de’ candelabri di ferro: questo è quello che si chiama alzatura: la più semplice costa 3 scudi, ma ve ne sono fino di dieci scudi.
Guardia di notte scudo uno 1.11 cadavere si porta in chiesa la sera prima del calar del sole (se per avventura suona l’ave maria prima che il cadavere entri in chiesa, bisogna che gli eredi paghino una multa al Camarlingo del clero) : la mattina dopo, si dicono le messe ed il cadavere resta in Chiesa. Si suppone che un individuo vegli il cadavere la notte, e si paga per queil ‘ individuo uno scudo, ed una libbra di cera: nessuno però fa la guardia; ma il parroco ciononostante prende lo scudo e la libbra di cera. Se un laico facesse tal cosa, sarebbe un ladro; ma per un prete vi è un’ altra morale.
La partita del suono di campane va parimenti alla chiesa: sono i monelli che le suonano per divertimento, ed il parroco intasca il denaro. Prima della messa cantata alcuni preti vanno a borbottare l’ufficio de’ morti: saranno sette o otto, e ricevono baiocchi dieci per ciascuno: il resto lo prende il parroco. Il parroco canta la messa, paga due cantori, diacono e suddiacono, in tutto baiocchi quaranta, ed il resto lo prende per sè. Sulle messe basse il parroco non prende nulla.
Ora spieghiamo il conto della cera.
Le torcie sono candele a quattro stoppini che si portano accese per la strada attorno al cadavere. In chiesa si smorzano e divengono proprietà del parroco. I fiaccolotti sono candele ad un solo stoppino che ardono in chiesa attorno al cadavere sui candelabri di ferro, nella mattina fino a che dura l’ufficiatura : esse devono essere dello stesso peso delle torcie, e due di più in numero. Finita l’ufficiatura appar tengono al parroco.
Sull’altare maggiore ardono sei candele, e due sopra ogni altare: i residui appartengono al parroco o alla chiesa secondo le convenzioni fra il parroco ed essa chiesa. La candela della guardia va tutta intera al parroco. Il mazzetto è composto di una candela di una libbra, e due candele di 2 oncie almeno, legate insieme, che vanno al parroco personalmente. Per dodici preti sono messe in nota 16 candele, perchè una di esse va al viceparroco, una al chierico che porta la croce, e due alla sagrestia. Le candele de’ preti e de’ frati ed il mazzetto, non si accendono, ma le intascano intere. Per l’assoluzione si pagano venti candele. Finita la messa cantata il parroco accompagnato da alcuni preti va a recitare alcune preci, chiamate assoluzione, sul cadavere: ogni prete ha una candela accesa: saranno sette o otto: ciascuno di essi intasca la sua, il residuo delle venti appartiene al parroco.
Da qui apparisce con quanta ragione il parroco diceva a quella vedova « Assicuratevi che conoscendo le vostre circostanze, ho fatto tutta la economia possibile! ».
IL BECCAMORTI
In Roma è costume di aprire interamente, le finestre della camera nella quale è un morto. Quindi accade che quando è gravemente malata una persona bricca, la mattina di buon’ora si vedono passeggiare per la via beccamorti, preti di vettura, e provveditori per vedere se la finestra è aperta, com’essi dicono; cioè se il malato è morto. Quando i beccamorti vedono la finestra aperta, si fregano le mani, e vanno a bere l’acquavite rallegrandosi del prossimo guadagno, e facendo i loro conti sul quanto gli toccherà.
Ma cosa sono i preti di vettura? Sono preti infelici senza beneficio, senza patrimonio, che scendono dalle provinole nella capitale per guadagnarsi da vivere con le funzioni di prete. Sono assai male vestiti, luridi, miseiabili, ubbriaconi per lo più, e compagni de’beccamorti. Cotesti preti si raunano in alcune piazze, come piazza Co lonna, piazza di Campo di fiori e simili, ad aspettare il loro sensale. Il sensale è uno di loro, il più antico per lo più, ed il più pratico: questi gira per le sagrestie all’ avvicinarsi delle feste, ed il sagrestano commette al sensale di trovargli tanti preti per dire la messa nel tal giorno, nelle ore ch’egli determina; si stabilisce il prezzo di ogni messa col sensale, il quale prende l’impegno di servire il sagrestano. Allora egli fissa quel numero di preti, e sopra ognuno di essi prende una quota proporzionata al prezzo della messa.
Quando vi sono de’ ricchi moribondi, i preti sensali sono avvisati dal beccamorti; ed appena vedono la finestra aperta, corrono alla sagrestia della parrocchia, ed aspettanochesivadaa combinare perii mortorio: allorailsagrestano ordina al sensale tanti preti per l’associazione del cadavere, e tanti per le messe. I preti che vanno alla associazione invitati dalsensale, debbono rilasciare a costui la candela in prezzo della senseria, e accontentarsi di prendere per loro solo il denaro: quelli invitati per la messa, devono rilasciare al sensale una quota secondo che il prezzo della messa è maggiore o minore. Da qui vengono que’ contratti scandalosissimi fra sagrestani e sensali di preti. Il sagrestano per esempio per le messe in un giorno di festa offre tre paoli; il sensale dice che per quel giorno ha molte richieste, che non può mandarne a meno di sei paoli, e qualche volta bisogna anche pagarle uno scudo. Questo mercato in Roma è conosciutissimo, ma i superiori lo tollerano.
Ecco poi cosa sono i provveditori. Ogni confraternita, ed in Roma ve ne sono tante, va ad associare i cadaveri : e questo è uno de ‘migliori introiti di parecchie confraternite. In esse vi è la carica di un provveditore de’ morti, il quale deve cercare le associazioni, e contrattarne il prezzo: e siccome bene spesso sono invitate due o più confraternite a scelta dell’ erede; così i provveditori fanno a gara per essere i primi, e per offerire i servigi della loro arciconfraternita a prezzi migliori de’ loro competitori. I confratelli che vanno alla associazione de’ cadaveri sono vestiti di sacco, col cappuccio sulla faccia, per non essere conosciuti: ognuno di essi riceve per sè due candele, ed i graduati tre o quattro secondo il loro grado.
L’INDULGENZA
Alcuni de’ nostri lettori non pratici molto di materie ecclesiastiche, ameranno avere la spiegazione di questi articoli della Curia romana: eccola brevemente. L’indulgenza plenaria consiste nella totale remissione di tutte le pene temporali che s’incorrono per lo peccato : inguisachè colui che ha acquistata una indulgenza plenaria, se muore non tocca le pene del purgatorio. Questa indulgenza plenaria o è reale, o locale, o personale: la reale è quando essa è attaccata ad un’opera; per esempio, facendo la tale opera si acquista la indulgenza plenaria: la locale quando è attaccata ad un luogo, ad una chiesa, ad un altare, ad una immagine, ad una corona ec.: la personale quando è attaccata ad una persona, o ad un ceto di persone. Vi è poi la indulgenza plenaria in forma di giubbileo, che è qualche cosa di più: vale a dire che per quella indulgenza, colui che la gode può scegliersi il confessore. Ma si dirà: E che non è sempre in facoltà di tutti lo scegliersi il confessore? No, rispondiamo: i frati e le monache non possono sceglierlo se non nel tempo del giubbileo, ed in una indulgenza plenaria in forma di giubbileo. Inoltre i laici stessi se hanno de’ casi riservati, non possono essere assoluti che da’penitenzieri: ma avendo la indulgenza plenaria in forma di giubbileo qualunque confessore può assolverli. Di più in questo caso può essere assoluto dalla osservanza de’ voti semplici, commutandoli in altra opera più facile.
Le indulgenze parziali poi sono indulgenze che rimettono un determinato tempo della pena dovuta al peccato: di queste ve ne sono alcune che arrivano ad ottantami l’anni. In qualche caso le une e le altre sono applicabili alle anime del purgatorio; ed allora quando si applica una indulgenza plenaria ad un’ anima del purgatorio, essa subito esce da quelle fiamme: se la indulgenza è parziale, le sono risparmiati tanti anni di purgatorio, quanti sono gli anni della indulgenza; e tutto ciò per pochi paoli: e poi si dica che la religione romana non è comoda!
Le benedizioni in articulo mortis sono quelle che si danno a’ moribondi con indulgenza plenaria. Per concessione di Papa Benedetto XIV tutti i parrochi hanno tale facoltà ; più per concessione di altri Papi la hanno i Domenicani, i Carmelitani, i Serviti, ed altri Ordini religiosi. Anzi per dare cotale benedizione con indulgenza plenaria non è neppure necessario esser prete. Sisto V ha accordato il privilegio (non mai revocato) ai laici professi de’ Chierici regolari ministri degl’ infermi, di dare la benedizione con l’indulgenza plenaria in articulo mortis. Gli altri preti o frati che non la hanno se la procurano alla S. Congregazione delle indulgenze.
Se si facesse un semplice calcolo delie indulgenze e degli altari privilegiati, ne risulterebbe che non solo da lungo tempo il purgatorio dovrebbe essere chiuso; ma che la Chiesa romana avrebbe una vistosissima partita di credito con Dio, la quale partita aumenta ogni giorno. Vedi il nostro trattato sul purgatorio.
IL MORTORIO
Fare un bel mortorio è un punto di onore in Roma: per cui in quel momento le famiglie fanno qualunque sacrificio. Si vanno ad impegnare gli ori e le argenterie, si fa un debito coll’ usuraio; ma si vuol fare un mortorio conveniente. Però se si trova un parroco che faccia il mortorio per essere pagato dopo, non è pagato più, ammenochè non faccia una lite: quindi non vi è esempio che si vada ad associare un cadavere senza che il parroco sia stato pagato anticipatamente.
È una necessità morale in Roma fare un bel mortorio ad un parente. I preti han saputo trovare tutti i modi per trarre di tasca i denari ai loro parrocchiani. Per i restii han fatto una legge, ed è lo Statuto del clero, ed i tribunali su quella legge condannano coloro che non vogliono fare il mortorio, o lo vogliono fare miserabile. Per i devoti han lasciato nel catechismo il quinto comandamento della Chiesa che dice: « Ricordati di pagare le decime:» e siccome decime propriamente dette non ve ne sono in Roma; così i preti dicono ed insegnano, che i mortorii sono in luogo di decime. Per i non tanto devoti, che sono la gran maggioranza, i preti han fatto del mortorio più o meno sfarzoso un punto di onore. Guai se una famiglia non facesse un mortorio più che decente; si direbbe che sono gente senza cuore e senza onore; che han fatto seppellire il morto come un cane. Così per evitare la critica del mondo, ognuno si sforza, e molti fanno debiti per fare un bel mortorio.
IL SEPPELLIMENTO AL CAMPOSANTO
Per chi non sapesse come fino al 1847 si seppellivano i morti in Roma, lo diremo in questa nota.
Vi è in Roma un cemeterio presso la basilica di S Lorenzo circa un miglio fuori della città. Ma quel cemeterio è per i non privilegiati: i cardinali non vi vanno, i frati e le monache neppure; i nobili hanno tutti la sepoltura gentilizia in qualche Chiesa, e tutti costoro sono sepolti nelle chiese. Il cemeterio è formato di larghe fosse o camere sotterranee: si apre la bocca di una di queste fosse profonde, e si gettano in essa i cadaveri alla rinfusa: poi si mette sopra una pietra quadrata e così si seppelliscono i cadaveri nella santa città.
IL RITO DEL TRASPORTO
L’ultimo viaggio è forse la parte del distacco ad aver subito più trasformazioni.
Ricordiamo che, come da tradizione cristiana, l’accompagno al sepolcro, ovvero il vero e proprio “funerale”, fino a tutto il XIXmo secolo, avveniva in notturna, con il carro o il solo feretro scortato da un corteo di confratelli nascosti con dei saii provvisti di cappuccio, i cosiddetti “sacconi”, il numero degli accompagnatori era proporzionale allo stato sociale, così come le bardature del carro ed il numero dei cavalli del tiro. Paradossalmente tale tipologia di cortei, rappresentavano una facile preda per i gruppi di malavitosi che approfittando dell’oscurità, si lanciavano in veri e propri assalti da far west. Il carro rappresentava la loro diligenza ed i gioielli seppelliti col defunto il loro bottino.
Con la scomparsa delle confraternite, cambierà la struttura del rito che gradualmente si strutturerà con soluzione di contiunuità: veglia, funzione e seppellimento, il tutto di giorno e seguito dai cari del defunto. Niente più oscuri e tetri frati incappucciati, niente più assalti, solo un mesto ed ultimo saluto di famiglia accompagnato dai “becchini” delle Pompe funebri, figure più moderne, eredi degli obsoleti beccamorti.
Ma leggiamo un commento d’epoca circa lo stesso argomento
IL SEPPELLIMENTO AL CAMPOSANTO
La maniera del trasporto era la più barbara che si potesse immaginare. La sera nella prima ora partiva il cadavere dalla parrocchia: precedeva un chierico con una piccola croce, ed un lanternino chiuso, ed un prete: seguivano due beccamorti col cadavere sopra una piccola bara, e così si andava all’ospedale della Consolazione ov’era il deposito de’cadaveri di tutte le parrocchie. Per molte parrocchie il tragitto è assai lungo, quindi i beccamorti dovevano riposarsi; allora lasciavano il cadavere sulla strada ed essi col prete entravano in una osteria per rinfrescarsi. Nelle serate oscure e piovose è più volte accaduto che i passanti o le carrozze abbiamo urtato e rovesciato il cadavere abbandonato.
Giunti al deposito seguiva un’altra scena di orrore: i beccamorti seduti sulle casse o giuocavano alla mora, o facevano conversazioni della moralità che può immaginarsi da quella feccia di canaglia che essi sono. Quando tutti i cadaveri erano stati portati, allora erano posti sopra un carro scoperto accatastati gli uni sopra gli altri, e così erano trascinati al cemeterio accompagnati da due beccamorti che andavano fumando e cantando canzoni oscene: là erano scaricati dal carro e gettati nelle sepolture.
Nel 1847 il trasporto de’ cadaveri incominciò a farsi in modo non indecente, ed io che scrivo vi ebbi molta parte. Un principe romano, che non voglio nominare, domandò la privativa di trasportare con decenza i cadaveri al cemeterio, a condizione che le famiglie pagassero otto paoli di più per ciascun morto. Il cardinal Patrizi mi fece l’onore di comunicarmi quel progetto, e domandarmi il mio parere. Io dimo strai che quello era un vero mercato di cadaveri; e che l’appaltatore ne avrebbe ritratto un benefizio netto di circa 1500 scudi all’anno. Feci un controprogetto nel quale dimostrai che senza aggravare di più le famiglie, e con quello stesso che si spendeva per quell’orribile trasporto se ne sarebbe fatto uno più decente. Il mio progetto fu adottato: si fecero quattro decenti carri funerari, che ogni sera vanno a raccogliere i cadaveri nelle parrocchie, e ciascun carro accompagnato da un prete, conduce direttamente i cadaveri al cemeterio. Il modo però di seppellirli non è cambiato.